Le cose che non ho detto"di Azar Nafisi

Da **francesca** Lun 2 Nov - 22:37

ROMA - Azar Nafisi, l'autrice del bestseller Leggere Lolita a Teheran, che ha venduto un milione di copie negli Stati Uniti e circa centocinquantamila in Italia, racconta la storia della sua famiglia in un libro di memorie che supera le resistenze della cultura iraniana a rivelare le faccende private. E Nafisi non nasconde i tradimenti del padre e il rifugio trovato dalla madre in un mondo fantastico, lontano dalla dolorosa realtà.

"La maggior parte degli uomini - racconta - tradisce la moglie per avere un'amante. Mio padre tradiva mia madre perché non si sentiva amato. Io lo vedevo infelice e mi sentivo quasi in dovere di riempire i vuoti della sua vita" in quella che anche per lei è una convivenza dolorosa. 'Le cose che non ti ho detto' è soprattutto un ritratto del padre della scrittrice iraniana, Ahmad Nafisi, sindaco di Tehran all'epoca dello scià e della madre, Nezhat Nafisi, fra le prime donne entrate al parlamento iraniano ma, è anche lo specchio di come in molti casi le dittature riproducano i silenzi, i ricatti e le doppie verità su cui si regge la famiglia che nel libro appare come il primo e più perfetto sistema totalitario. La Nafisi - 54 anni, che vive negli Stati Uniti dal 1997 dove insegna letteratura inglese all'Università Johns Hopkins di Washington - in questo libro di memorie spiega anche che "raccontare era una passione di famiglia. Mio padre scrisse due libri di memorie, il meno interessante dei quali venne pubblicato, e più di millecinquecento pagine di diari. Mia madre invece ci raccontava le storie del suo passato, che di solito finivano così: 'io pero' non ho detto una parola, sono rimasta zitta".

Quello che ha deciso di non fare sua figlia: "io non credo - dice la scrittrice - che si debba rimanere zitti, perché, in un modo o nell'altro, ci raccontiamo attraverso le persone che diventiamo". Il ritratto della madre diventa anche quello delle donne persiane che "a partire dal 1907 sono diventate le più progressiste, se non radicali, al mondo". "Come descrivere - dice l'autrice - la fragile e combattuta giovinezza di mia madre, tra la metà degli anni Venti e gli anni Trenta, quando quei vaghi barlumi di cambiamento divennero realtà e lei poté finalmente mostrarsi in pubblico senza velo, frequentare una scuola francese e innamorarsi del suo primo marito danzando con lui a una festa di matrimonio?". A 13 anni la Nafisi lascia il suo paese per continuare gli studi prima in Europa, poi negli Stati Uniti. Torna in Iran nel 1979, l'anno della rivoluzione islamica e della presa di potere dell'ayatollah Khomeini. Lavora da assistente nel Dipartimento di Inglese dell'Università di Teheran, ma nel 1981 viene espulsa per essersi rifiutata di indossare il velo islamico diventato obbligatorio. Nel 1963, quando il padre viene arrestato con l'accusa di "insubordinazione e simpatie verso gli oppositori e il clero" la Nafisi fa subito ritorno a casa e nel libro ricorda l'incontro con il padre e le sue parole: "ricordati di non mostrare mai nessun segno di debolezza, non far vedere mai che ti senti ferita, o che provi vergogna. Non hai vergogna adesso, vero? Questa è solo una prova, e dobbiamo saper resistere. Questo è il momento di essere orgogliosi!". Pieno di contrasti ma forte è il legame della Nafisi con i suoi genitori che racconta con molta lucidità ma anche con grande tenerezza. E alla fine, sempre ricordando gli insegnamenti del padre mostra come per resistere alla tirannia degli uomini e del tempo la cosa migliore sia diventare capaci, con l'immaginazione, di costruire una casa oltre i confini geografici e le nazionalità. Una casa che nessuno "potrà mai portarmi via".